Da “Il Gazzettino” del 07/03/2001

Tra le sempre numerose lettere e telefonate tramite il Servizio del Gazzettino “Il Medico Sessuologo risponde”, una lettera è quella di un uomo di 42 anni che è in dubbio se sposarsi o no.

Mi racconta che è di un paese delle nostre vicine montagne, ultimo di sette fratelli, tutti sposati, e lui è ancora scapolo; i vecchi genitori premono perché anch’egli si sistemi, oltretutto, dicono i genitori, c’è la casa grande e ormai quasi vuota, lui ha il lavoro nei campi di sua proprietà… ed altre considerazioni pratiche. “Certo, una donna giovane ormai sarebbe necessaria”, mi dice l’uomo.

Gli rispondo di pensarci a lungo, molto a lungo e poi di decidere lui in base a considerazioni sue personali e non dei genitori.

E mi viene in mente un mio paziente di alcuni anni addietro. Anch’egli si era sposato sui 40 anni perché i suoi genitori ormai anziani lo avevano convinto. Era anch’egli di un paesino di provincia ed aveva preso il posto del padre quando questi era andato in pensione.

Anche per tale aspetto, per “un posto di lavoro sicuro”, era stato convinto dal padre.

Dopo quattro anni di fidanzamento con una ragazza del luogo, senza alcun rapporto sessuale perché di famiglia religiosa e praticante, in un paese dove tutti si conoscono, finalmente si sposa, ma dopo quattro mesi si separa. Il matrimonio non era stato neanche consumato ed è stato annullato anche dalla Sacra Rota.

L’uomo, dopo due anni di “nuovamente scapolo ritornato in famiglia”, fa l’incontro della sua vita.

Incontra un transessuale, se ne “innamora”, va a conviverci in un paese lontano dal suo, lascia il lavoro; “lei” si prostituisce come sempre. Ma egli è felice, mi dice, ha trovato a 45 anni “il suo vero io” e mi chiede anch’egli consiglio per iniziare un suo percorso di “trans”, come tanti anni fa fece la sua “compagna” che egli dice di amare.

Ho già scritto su queste colonne sui transessuali, su diversi casi che ho avuto in cura come psicoterapeuta sessuologo e su altri avuti come Consulente d’Ufficio per il Tribunale. Mi riprometto di parlarne ancora, ma quello che oggi mi preme dire è che non bisogna mai forzare i figli a “sistemarsi” sposandosi.

In verità oggi questo, per fortuna, è abbastanza raro, ma ancora, specie in certi contesti sociali può esistere; ed è sbagliato e pericoloso perché se l’individuo non sente l’esigenza, l’istinto direi, di vivere con un compagno, un motivo c’è sempre. Ed a volte il motivo può essere profondo nell’animo dell’individuo e tenuto nascosto, non detto a nessuno; ed alcune volte il motivo può essere talmente profondo da chiamarsi inconscio, ma che indirizza l’individuo in un certo modo, “il meglio per lui”, nelle sue scelte di vita.

Da “Il Gazzettino” del 05/03/2001

Una bella ragazza commessa di un bar di Venezia dove abitualmente vado a bere il caffè mi chiede di scrivere sul Gazzettino… “sui giovani d’oggi… tanti eterni bambini… legati alla mamma…”.

Mi racconta che ha avuto una storia d’amore per due anni con un giovane di 33 anni “…inconcludente… mai si decideva…”. Egli rimandava sempre il momento di sposarsi, o di andare a convivere, e comunque non voleva seriamente programmare un avvenire di coppia. Egli anche lavorava, ma…

“…ha cambiato diversi lavori… tanto viveva in famiglia e poteva permettersi anche periodi senza lavoro… finalmente ho avuto la forza di lasciarlo… adesso, prima di mettermi con un altro, voglio essere sicura che sia maturo, adulto… io lavoro da quando avevo 15 anni e ne ho 25…”.

Le dico che io sul Gazzettino ho una Rubrica di sessuologia, e lei pronta ribatte: “…anche da quel lato… egoismo… su e via soddisfatto lui, e tutto è finito…”.

La accontento. Ciò che mi racconta del suo ex può essere anche chiamata “la sindrome di Peter Pan” che annovera oggi parecchi giovani. Sono gli eterni adolescenti che anche oltre i 30 anni preferiscono vivere in famiglia, procrastinando sempre più il momento del distacco dai genitori ed il momento delle scelte definitive. Non hanno voglia di assumersi le responsabilità ed affrontare il futuro.

A volte hanno una paura di fondo: quella di andare a far parte di una generazione fantasma, senza valori e senza ideali forti. Ma comunque manca loro la voglia, la spinta vitale ottimistica, il coraggio ed anche lo spirito di sacrificio di cominciare ad averli e ad attuarli loro questi valori, piuttosto che rimanere nel comodo mondo dei sogni e legati soltanto al “principio del piacere” come i bambini, senza sentire l’esigenza di fare evolvere tale principio, che deve comunque rimanere pur sempre presente e valido e gratificante anche nell’adulto, nel “principio di realtà”.

E cosa si può dire sul comportamento sessuale di questi individui che ovviamente hanno elevate dosi di egocentrismo ed egoismo? Che sicuramente sarà molto frequente reperire in loro dei comportamenti sbrigativi, volti a soddisfare i solo loro bisogni, disattenti alla gratificazione del partner, perché anche ciò potrebbe metterli di fronte alla realtà di provvedere in maniera adulta ed adeguata.

Da “Il Gazzettino” del 28/02/2001

Una telefonata al Servizio del Gazzettino “Il Medico Sessuologo risponde” pone un argomento che penso possa essere utile ai lettori.

Un uomo di 50 anni, sposato, ma non felice, stanco della sua vita coniugale, intreccia una relazione con una ragazza di 20 anni, amica di Università della propria figlia. Questa ragazza aveva avuto per due anni un fidanzato, un bel ragazzo sportivo, Universitario anche lui. Ma l’Amore, così come nasce anche finisce e la ragazza si innamora di questo signore di trent’anni più grande di lei.

Arrivano presto alla decisione di avere un rapporto sessuale completo. Lui già pensa di separarsi dalla moglie. Il desiderio è tanto per entrambi, ma lui non ha l’erezione. Pensa che sia ansia da prestazione, ma anche le successive volte è la stessa cosa ed ormai sono passati sei mesi. Mi dice che con la moglie ha sempre funzionato, ed anche con qualche altra scappatella. Mi dice che ha pensato sin dalla prima volta, al confronto che la ragazza avrebbe potuto fare fra lui ed il suo ex ragazzo, che egli ben conosce, giovane e sportivo. Insomma non sa se lasciare perdere, ma lei gli giura che lo ama e che non fa nessun confronto col suo ex; gli dice di non preoccuparsi, che il sesso andrà bene e che lei, comunque, sta bene con lui. Mi chiede cosa gli succede, cosa fare.

Come ebbi a dire al signore che mi ha telefonato, di solito accade il contrario: la sessualità, il più delle volte, con l’abitudine e la frequentazione della stessa persona, sia per la donna, sia più spesso per l’uomo, perde di passione. Il trovare, l’innamorarsi di una persona nuova, specie se è giovane, rende la sessualità per l’uomo più passionale, più vivace.

Ma il punto è che non tutti si è uguali e forse il signore della telefonata è, tutto sommato, un abitudinario, un timoroso e, soprattutto, non è molto sicuro di sé dal lato sessuale.

Il fatto di fare dei paragoni, magari anche sbagliati, a suo sfavore, è indicativo.

Se l’amore tra i due è nato ed è reciproco, nonostante la forte differenza di età, ciò dovrebbe tranquillizzarlo. vuol dire che la ragazza ha scelto di stare con lui, magari anche solo per infatuazione che durerà quel che durerà.

Una cosa è da dire: quando non si è di animo leggero, quando si è molto problematici, quando non ci si sente sicuri di affrontare un futuro che è pur sempre imprevedibile, sarebbe meglio astenersi dall’intraprendere importanti cambiamenti, specie affettivi, che coinvolgono anche un’altra persona.

Da “Il Gazzettino” del 26/02/2001

“Gentile dottor Mercuri,
conviviamo, io e il mio compagno, da circa sei anni, non abbiamo figli, lavoriamo entrambi fuori casa, io ho 32 e lui 34. Dunque, da circa un anno, ma forse anche da due, non c’è più, da parte di lui, quella passione dei primi anni. Insomma lui ultimamente non mi cerca più, o meglio passerebbero anche dei mesi se fosse per lui… a me non sembra giusto che sia sempre io a prendere l’iniziativa e glielo ho detto e lui mi ha risposto “allora prenderò il Viagra”. Ma mi creda, se avesse bisogno del Viagra per far l’amore con me, io lo lascerei subito. Attendo un suo parere.”

Gentile Signora,

Faccio alcune osservazioni necessariamente sintetiche per via dello spazio.

Le dirò intanto che è normale che la “passione”, quella sessuale, cali dopo i primi tempi che ci frequenta sessualmente; i tempi sono variabili a seconda dei temperamenti di ognuno e a seconda della coppia. Se questa è libera sessualmente, spregiudicata e fantasiosa, può creare situazioni eroticamente stimolanti per un lungo periodo; ma anche in tali fortunati casi gli stimoli, ovviamente, col tempo si attutiscono.

Le soluzioni sono: o cambiare partner appena ciò succede, ma allora non ci sarebbero più unioni stabili né di convivenza né tantomeno di matrimonio, oppure cambiare gli obiettivi, gli scopi, i motivi di una unione “stabile” che già in partenza, in realtà, dovrebbero essere una progettazione di vita in comune, una condivisione di valori sociali e morali, ed anche il desiderio, se c’è in entrambi, di avere e di educare i figli.

Il secondo punto, su chi è giusto che prenda l’iniziativa, le rispondo che in una coppia affiatata, “chi più ha più dà”, di tutto: soldi, affetto, fantasia, erotismo, e sempre senza rimarcarlo.

Il terzo punto, il Viagra, è una sciocchezza il prenderlo per una mancanza di desiderio: il Viagra serve nei disturbi di erezione e deve essere prescritto, dopo attenti e mirati esami, da un medico esperto di problemi andrologici e sessuologici.

Sul quarto punto, “se avesse bisogno del Viagra lo lascerei”, qui le dò torto perché, fermo restando quanto sopra detto, il Viagra è un buon farmaco che, se serve, si può e si deve usare per risolvere un disturbo di erezione, ovviamente usandolo per un periodo limitato ed indagando nel contempo, da parte di un medico sessuologo, i problemi tutti, anche quelli di tipo psicologico e relazionale che possono fare funzionare male la sessualità di un uomo giovane quale è il suo compagno.

Da “Il Gazzettino” del 18/02/2001

“Gentile dottor Mercuri,
sono sposata con mio marito da due anni. Ho 30 anni e mio marito 38. Io sono casalinga, ma piena di interessi, lui è un libero professionista già affermato. Non abbiamo figli perché lui ha pochissimi spermatozoi, ma non vuole sottoporsi a pratiche di procreazione assistita perché molto religioso-praticante.
Fuma 80 sigarette al giorno. Le chiedo un consiglio, ma vorrei chiedergliene tanti. Comunque, quello che più mi sconvolge è sapere che mio marito, da solo, di nascosto, guarda filmini pornografici, la notte; un periodo che è stato solo in casa ha speso più di un milione per telefonate erotiche. Con me fa l’amore molto di rado, ogni due-tre mesi. Non so cosa pensare… e cosa fare.”

Gentile Signora,

cerco di darLe dei rapidi, telegrafici miei pareri, più che consigli.

L’eccesso di sigarette fa malissimo al sesso, sia dal lato sessuologico erettivo, sia dal lato procreativo.

La religiosità eccessiva e rigidamente interpretata di Suo marito non lo fa scegliere, in accordo con lei, se è il caso di poter avere un figlio anche con gli aiuti che oggi la Scienza medica mette a disposizione.

La pornografia merita un discorso diverso e mi riprometto di approfondirlo in un prossimo articolo.

Intanto, nel caso specifico di Suo marito, è evidente una contraddizione con la sua morale religiosa che da un lato gli vieta di poter avere un figlio che Lei invece desidera tanto, mentre da un altro lato non gli vieta di compiacersi di una visione dell’amore mercificato al massimo, umiliante soprattutto per la donna e privo di connotazioni di rispetto reciproco della coppia.

Comunque, il bisogno di pornografia che ha Suo marito, può sottendere una sua carente sicurezza sessuale, di cui può essere sia causa che effetto anche la sua infertilità che andrebbe indagata approfonditamente sotto il profilo sia andrologico che sessuologico.

Le consiglio comunque di non criminalizzarlo, di cercare un dialogo aperto, di indagare dentro se stessa per capire se esistono eventuali sue carenze come concausa di un insufficiente erotismo di coppia.

Da “Il Gazzettino” del 13/02/2001

Egregio dottor Mercuri,
sono una giovane moglie di 32 anni. Mio marito, ricercatore universitario di 37 anni, non può avere figli per una forma di infertilità. Dispiace a tutti e due ma, insomma, o ci si rassegna o si possono adottare. Siamo sposati da tre anni; i medici non ci hanno dato speranze neanche con metodi di fecondazione artificiale.
Ma il motivo per cui le scrivo è che mio marito, da quando ha saputo di questa sua infertilità, non ha quasi più desiderio sessuale. Credo sia depresso, ma lui dice di no, continua il suo lavoro all’Università, abbiamo amici… La prego, mi dia un consiglio.

Gentile Signora,

le conseguenze psicologiche della infertilità, anche quelle psico-sessuali, sono abbastanza frequenti; sono di solito più sentite dal partner “responsabile”; egli è ferito nella sua identità sessuale dalla incapacità di procreare e può sviluppare una reazione depressiva con temi di autosvalutazione oppure una difficoltà di funzionamento sessuale. Più è fragile la sua identità sessuale, più la sua sicurezza sessuale ne risente, specie nell’uomo, nonostante che in lui, più che nella donna, la finalità riproduttiva del rapporto sia andata affievolendosi nel corso della evoluzione; a livello inconscio, il rapporto sessuale e la, anche solo potenziale, capacità procreativa, costituiscono ancora oggi la conferma della sua identità e sicurezza sessuale.

Certo, vale tanto ad attenuare o ad aggravare questa sofferenza, l’atteggiamento del partner “non responsabile”, cioè nel caso specifico, il Suo. Come anche è importante il contesto sociale, gli amici, i parenti che magari hanno dei figli; ed anche l’atteggiamento dei Vostri rispettivi genitori, che non raramente sono desiderosi di avere un nipotino. A volte, in tali contrasti e situazioni, la relazione di coppia viene messa in discussione.

Consiglio di rivolgervi entrambi ad un medico psicoterapeuta esperto di problemi sessuologici.

Da “Il Gazzettino” del 05/02/2001

Abbastanza numerose le lettere e le telefonate su una patologia andrologica chiamata dai pazienti “pene storto”, che ha, come sempre accade in andrologia, risvolti sessuologici.

Scientificamente il termine è “induratio penis plastica” o malattia di La Peyronie dal nome del chirurgo che la descrisse nel 1743. Era il medico personale di Luigi XIV, il Re Sole, che appunto aveva questa patologia.

Nonostante l’illustre esordio, la malattia rimase quasi completamente dimenticata fino all’ultimo nostro ventennio, che vide un progresso sempre crescente di tutta l’andrologia.

La malattia di La Peyronie è una alterazione localizzata alla tunica albuginea dei corpi cavernosi del pene, con formazione di placche fibrotiche che determinano, specie durante l’erezione, una curvatura il più spesso dorsale o laterale del pene, fino anche a 90°. E’ accompagnata spesso da dolore, con difficoltà più o meno marcata della funzionalità sessuale.

Sulla frequenza, la maggior parte degli Autori si attesta su un caso ogni 200 (0,50%), ma altri studiosi hanno osservato alterazioni della tunica albuginea con molta maggior frequenza.

La malattia è poco comune prima dei 40 anni, poi la sua frequenza cresce gradualmente con l’età, con un picco sui 60 anni.

Non si sa quale sia la causa della formazione delle placche; le varie ipotesi o le concause sono: quella autoimmune, la predisposizione ereditaria, il microtraumatismo.

Spesso la sintomatologia all’inizio è vaga; la disfunzione dell’organo è e rimane a volte poco marcata, mentre altre volte, in circa il 30% dei pazienti, è tale da non permettere il coito, sia per la accentuata curvatura, sia per il dolore alla penetrazione.

La diagnosi la si fa con l’osservazione, la palpazione e con l’ecotomografia.

La terapia non chirurgica può essere farmacologica generale, farmacologica locale e con mezzi fisici (infiltrazioni, ionoforesi, ultrasuoni, ecc.).

La terapia chirurgica dalla rimozione delle placche, fino all’impianto protesico, è indicata quando c’è un’alterazione importante o impossibilità della funzione sessuale.

Sono ormai due anni di penitenze, di limitazioni delle libertà personali di dover andare per strada con una maschera che non fa vedere il viso ,la sua espressione e quindi nasconde la simpatia o il suo contrario che è l’antipatia, nasconde l’empatia o il suo contrario che può essere la freddezza, la smorfia di disgusto, di disapprovazione , di scherno. Inoltre per un periodo non è stato possibile andare dove si voleva o si doveva senza giustificare per iscritto ogni  movimento e in più si doveva respirare il proprio fiato caldo per tutto il giorno come, purtroppo, è ancora.

Si sarebbe dovuto cambiare maschera ogni due ,tre ore ma nessuno lo avrà fatto ,tranne i chirurghi o qualche ossessivo .

Il danno più grande è stato comunque per i bambini  e gli adolescenti ,  specialmente per quelli timidi ed introversi, che molto più di noi adulti hanno necessità , per il loro sviluppo intellettivo e soprattutto emotivo, di una qualità di vita normale,  con estremo bisogno di socializzare.

Comunque credo sia ora di mollare qualche punto, di attenuare cioè  le regole e i divieti,  pur raccomandando ancora   di avere  una giusta prudenza per se stessi e per gli altri. E ‘ anche necessario, ormai, non parlar più tutto il giorno e tutti i giorni di questo virus, quasi come fosse l’unica causa di tutte le morti.

E’ ora di   cominciare a  curare le ferite soprattutto psicologiche e sociali che tale brutto periodo ci ha inferto  e la prima cura è il ritornare gradualmente ad una normalità di vita , dato anche che ormai la stragrande maggioranza ,almeno di noi europei,  è vaccinata e dato che il virus per sua stessa  natura tende dopo un certo tempo a perdere di  virulenza e a trasformarsi da pandemia ad endemia ,per cui si consiglierà la vaccinazione alle fasce più a rischio e forse ,per un primo periodo si imporrà solo per determinati mestieri o professioni o per fare determinati viaggi in cui l’epidemia è ancora molto diffusa e virulenta.

Farò a breve un articolo in cui voglio trattare del danno specifico che questo periodo infausto ha comportato nella sessualità, soprattutto fra i giovani.

Da “Il Gazzettino” del 29/01/2001

“Sono la moglie di un paziente “in dialisi”. Mio marito aveva già un deficit erettivo prima della terapia, che fa tre volte alla settimana. Ma da quando è in terapia non ha più rapporti sessuali. Appare depresso, non so se per tale motivo o per la sua malattia. Io gli voglio bene lo stesso, ma vorrei poter fare qualcosa soprattutto per lui che ha 45 anni. Grazie e distinti saluti”.

Cara Signora,

la patologia sessuale nei pazienti con sindrome uremica, cioè con insufficienza renale, è rilevante e circa il 50% degli uomini ed il 30% delle donne tende a non avere più rapporti sessuali; l’uomo riferisce ridotta libido e deficit erettivo; la donna ridotta capacità orgasmica e ridotta libido.

Non sempre la terapia emodialitica risolve tali problemi, anzi in alcuni pazienti i disturbi della sessualità compaiono o si aggravano dopo l’inizio della terapia, peraltro necessaria alla vita.

Il trapianto renale mostra una più alta percentuale di recupero della attività sessuale.

Le cause dei disturbi sessuali nei pazienti urecemici sono alterazioni ormonali ed anche altri fattori. Nei maschi si riscontrano livelli di testosterone (ormone sessuale maschile) ridotti ed estrogeni aumentati. Inoltre, spesso vi è aumento della prolattina ed è noto che anche tale aumento interferisce con la funzione sessuale erettiva.

Tra i fattori di natura non ormonale c’è l’intossicazione uremica, l’anemia, la polineuropatia.

Comunque, da tenere sempre presente che questi fattori metabolico-ormonali vanno inseriti nel contesto psicologico di un paziente colpito da malattia altamente invalidante, costretto a vivere in dipendenza di una macchina con vissuti depressivi importanti, e si sa quanto la depressione influisca negativamente nella funzione sessuale.

Quindi è auspicabile un sostegno psicoterapico e l’aiuto oculato di qualche farmaco, anche il sildenafil (Viagra), a dosi appropriate e sotto stretto controllo medico-andrologico.

Hanno stufato tutti, ed anche me, che ho una pazienza di Giobbe, maturatami dai tanti anni che ho fatto il medico psichiatra in Manicomio dove i ricoverati ed anche a volte noi medici  dicevamo sempre le stesse cose, a volte verosimili, molto più spesso deliranti. Ognuno rimaneva come era!

Voglio chiarire che non sono contrario alla vaccinazione, anzi secondo me avrebbe potuto essere resa obbligatoria sin dall’inizio; ma ormai quasi il 90% è vaccinato e non si può più, oggi, dichiarare esserci uno stato di emergenza sanitaria tale da imporre per Legge la vaccinazione obbligatoria. Quei pochi non vaccinati sono ovviamente più a rischio di ammalarsi gravemente, ma è una loro scelta e non sono gli unici a diffondere il virus, sebbene loro, a mio giudizio, più dei vaccinati, perché hanno una maggiore carica virale non contrastata dalla vaccinazione.

Quindi basta parlarne in maniera ossessiva, basta le mascherine all’aperto, basta minacce di obbligo per legge a vaccinarsi. Anche perché se si proclamano delle leggi bisogna esser certi a saperle fare applicare. Altrimenti si ritorna a quanto detto all’inizio: a un discutere all’infinito sempre di una stessa cosa con risultato di rimanere ognuno della propria opinione.