Da “Il Gazzettino” del 19/03/2001

Al Servizio del Gazzettino “Il Medico Sessuologo risponde” di lunedì u.s. un giovane handicappato di 29 anni affetto da tetraparesi spastica e costretto a vivere in carrozzella mi chiede di scrive sulla sessualità degli handicappati.

Si esprime vocalmente male ma appare lucido e intelligente. Mi dice di scrivere io,…

“…con la sua autorità… che il sesso è un bisogno come la fame e la sete, e poi sulla vergogna che abbiamo noi di volere fare sesso, un po’ quello che lei ha scritto sul sesso negli anziani in un articolo recente. Scriva anche del moralismo che ancora c’è… a volte per alcuni di noi servono anche le prostitute, almeno loro… ma i benpensanti dicono che è peccato… ma la nostra vita non sconta già tanti peccati?…”

E’ una telefonata molto triste, molto amara, molto vera, e che dice già tutto. Io me ne faccio portavoce: è vero e da tener presente da parte della società tutta che l’handicappato è, come tutti gli esseri umani, un essere sessuato. E ciò sia che la limitazione riguardi la funzionalità motoria o le capacità psichiche, che sia essa congenita o acquisita. L’handicappato per certi aspetti è un “diverso” ma non perché tale deve subire anche un processo di emarginazione ed essere trattato come un individuo asessuato e non invece come un uomo o una donna. La sessualità poi non deve intendersi, così nel normale come nell’handicappato, soltanto come “attività sessuale”, ma deve estendersi nella considerazione ed accettazione del proprio sé corporeo e psichico, nelle esperienze sensoriali ed affettive derivanti al contatto con gli altri.
La consulenza sessuologica, auspicabile sempre, deve estendersi dal soggetto ai familiari agli educatori al partner. Deve valutare e verificare la possibilità di attuare un soddisfacente rapporto sessuale, anche con l’aiuto dei validi farmaci oggi a disposizione. E ciò avverrà senz’altro specie negli handicap fisici post-traumatici dove occorre considerare il tipo di lesione neurologica e motoria.
Speriamo inoltre, e lottiamo a vari livelli perché ciò si avveri, in una società sempre meno moralistica e meno sessuofobica in quanto tali atteggiamenti nuocciono soprattutto ai più deboli.

Da “Il Gazzettino” del 07/03/2001

Tra le sempre numerose lettere e telefonate tramite il Servizio del Gazzettino “Il Medico Sessuologo risponde”, una lettera è quella di un uomo di 42 anni che è in dubbio se sposarsi o no.

Mi racconta che è di un paese delle nostre vicine montagne, ultimo di sette fratelli, tutti sposati, e lui è ancora scapolo; i vecchi genitori premono perché anch’egli si sistemi, oltretutto, dicono i genitori, c’è la casa grande e ormai quasi vuota, lui ha il lavoro nei campi di sua proprietà… ed altre considerazioni pratiche. “Certo, una donna giovane ormai sarebbe necessaria”, mi dice l’uomo.

Gli rispondo di pensarci a lungo, molto a lungo e poi di decidere lui in base a considerazioni sue personali e non dei genitori.

E mi viene in mente un mio paziente di alcuni anni addietro. Anch’egli si era sposato sui 40 anni perché i suoi genitori ormai anziani lo avevano convinto. Era anch’egli di un paesino di provincia ed aveva preso il posto del padre quando questi era andato in pensione.

Anche per tale aspetto, per “un posto di lavoro sicuro”, era stato convinto dal padre.

Dopo quattro anni di fidanzamento con una ragazza del luogo, senza alcun rapporto sessuale perché di famiglia religiosa e praticante, in un paese dove tutti si conoscono, finalmente si sposa, ma dopo quattro mesi si separa. Il matrimonio non era stato neanche consumato ed è stato annullato anche dalla Sacra Rota.

L’uomo, dopo due anni di “nuovamente scapolo ritornato in famiglia”, fa l’incontro della sua vita.

Incontra un transessuale, se ne “innamora”, va a conviverci in un paese lontano dal suo, lascia il lavoro; “lei” si prostituisce come sempre. Ma egli è felice, mi dice, ha trovato a 45 anni “il suo vero io” e mi chiede anch’egli consiglio per iniziare un suo percorso di “trans”, come tanti anni fa fece la sua “compagna” che egli dice di amare.

Ho già scritto su queste colonne sui transessuali, su diversi casi che ho avuto in cura come psicoterapeuta sessuologo e su altri avuti come Consulente d’Ufficio per il Tribunale. Mi riprometto di parlarne ancora, ma quello che oggi mi preme dire è che non bisogna mai forzare i figli a “sistemarsi” sposandosi.

In verità oggi questo, per fortuna, è abbastanza raro, ma ancora, specie in certi contesti sociali può esistere; ed è sbagliato e pericoloso perché se l’individuo non sente l’esigenza, l’istinto direi, di vivere con un compagno, un motivo c’è sempre. Ed a volte il motivo può essere profondo nell’animo dell’individuo e tenuto nascosto, non detto a nessuno; ed alcune volte il motivo può essere talmente profondo da chiamarsi inconscio, ma che indirizza l’individuo in un certo modo, “il meglio per lui”, nelle sue scelte di vita.

Da “Il Gazzettino” del 05/03/2001

Una bella ragazza commessa di un bar di Venezia dove abitualmente vado a bere il caffè mi chiede di scrivere sul Gazzettino… “sui giovani d’oggi… tanti eterni bambini… legati alla mamma…”.

Mi racconta che ha avuto una storia d’amore per due anni con un giovane di 33 anni “…inconcludente… mai si decideva…”. Egli rimandava sempre il momento di sposarsi, o di andare a convivere, e comunque non voleva seriamente programmare un avvenire di coppia. Egli anche lavorava, ma…

“…ha cambiato diversi lavori… tanto viveva in famiglia e poteva permettersi anche periodi senza lavoro… finalmente ho avuto la forza di lasciarlo… adesso, prima di mettermi con un altro, voglio essere sicura che sia maturo, adulto… io lavoro da quando avevo 15 anni e ne ho 25…”.

Le dico che io sul Gazzettino ho una Rubrica di sessuologia, e lei pronta ribatte: “…anche da quel lato… egoismo… su e via soddisfatto lui, e tutto è finito…”.

La accontento. Ciò che mi racconta del suo ex può essere anche chiamata “la sindrome di Peter Pan” che annovera oggi parecchi giovani. Sono gli eterni adolescenti che anche oltre i 30 anni preferiscono vivere in famiglia, procrastinando sempre più il momento del distacco dai genitori ed il momento delle scelte definitive. Non hanno voglia di assumersi le responsabilità ed affrontare il futuro.

A volte hanno una paura di fondo: quella di andare a far parte di una generazione fantasma, senza valori e senza ideali forti. Ma comunque manca loro la voglia, la spinta vitale ottimistica, il coraggio ed anche lo spirito di sacrificio di cominciare ad averli e ad attuarli loro questi valori, piuttosto che rimanere nel comodo mondo dei sogni e legati soltanto al “principio del piacere” come i bambini, senza sentire l’esigenza di fare evolvere tale principio, che deve comunque rimanere pur sempre presente e valido e gratificante anche nell’adulto, nel “principio di realtà”.

E cosa si può dire sul comportamento sessuale di questi individui che ovviamente hanno elevate dosi di egocentrismo ed egoismo? Che sicuramente sarà molto frequente reperire in loro dei comportamenti sbrigativi, volti a soddisfare i solo loro bisogni, disattenti alla gratificazione del partner, perché anche ciò potrebbe metterli di fronte alla realtà di provvedere in maniera adulta ed adeguata.

Da “Il Gazzettino” del 28/02/2001

Una telefonata al Servizio del Gazzettino “Il Medico Sessuologo risponde” pone un argomento che penso possa essere utile ai lettori.

Un uomo di 50 anni, sposato, ma non felice, stanco della sua vita coniugale, intreccia una relazione con una ragazza di 20 anni, amica di Università della propria figlia. Questa ragazza aveva avuto per due anni un fidanzato, un bel ragazzo sportivo, Universitario anche lui. Ma l’Amore, così come nasce anche finisce e la ragazza si innamora di questo signore di trent’anni più grande di lei.

Arrivano presto alla decisione di avere un rapporto sessuale completo. Lui già pensa di separarsi dalla moglie. Il desiderio è tanto per entrambi, ma lui non ha l’erezione. Pensa che sia ansia da prestazione, ma anche le successive volte è la stessa cosa ed ormai sono passati sei mesi. Mi dice che con la moglie ha sempre funzionato, ed anche con qualche altra scappatella. Mi dice che ha pensato sin dalla prima volta, al confronto che la ragazza avrebbe potuto fare fra lui ed il suo ex ragazzo, che egli ben conosce, giovane e sportivo. Insomma non sa se lasciare perdere, ma lei gli giura che lo ama e che non fa nessun confronto col suo ex; gli dice di non preoccuparsi, che il sesso andrà bene e che lei, comunque, sta bene con lui. Mi chiede cosa gli succede, cosa fare.

Come ebbi a dire al signore che mi ha telefonato, di solito accade il contrario: la sessualità, il più delle volte, con l’abitudine e la frequentazione della stessa persona, sia per la donna, sia più spesso per l’uomo, perde di passione. Il trovare, l’innamorarsi di una persona nuova, specie se è giovane, rende la sessualità per l’uomo più passionale, più vivace.

Ma il punto è che non tutti si è uguali e forse il signore della telefonata è, tutto sommato, un abitudinario, un timoroso e, soprattutto, non è molto sicuro di sé dal lato sessuale.

Il fatto di fare dei paragoni, magari anche sbagliati, a suo sfavore, è indicativo.

Se l’amore tra i due è nato ed è reciproco, nonostante la forte differenza di età, ciò dovrebbe tranquillizzarlo. vuol dire che la ragazza ha scelto di stare con lui, magari anche solo per infatuazione che durerà quel che durerà.

Una cosa è da dire: quando non si è di animo leggero, quando si è molto problematici, quando non ci si sente sicuri di affrontare un futuro che è pur sempre imprevedibile, sarebbe meglio astenersi dall’intraprendere importanti cambiamenti, specie affettivi, che coinvolgono anche un’altra persona.